mercoledì 24 febbraio 2010

Che fine hanno fatto i Morgan?, 2009, Marc Lawrence



Amici miei, non ve ne abbiate. Ho praticamente dovuto guardare questo film, io venero Sarah Jessica dal '97, non potevo perdermela. Non sto qui a scrivere quanto questo film sia una cagata, tanto lo immaginerete voi stessi, ma è necessario che spieghi alcune cose: non si tratta dell'ennesima commedia americana, peggio. Qui si parla di una mezcla di qualche episodio di Sex and the City, senza però la magia che li contraddistingueva: mancano le ragazze, tanto per cominciare e Hugh Grant, al di fuori dei confini inglesi, perde tutto il suo charme così caratteristicamente british, sembra che sia capitato sul set completamente a caso.
La strana coppia (non riesco proprio a vedere Carrie che non fa Carrie, insomma, esiste una Sarah Jessica Parker anche prima del telefilm, lo so, l'ho amata anche in Ed Wood e in Mars Attacks!) assiste involontariamente a un omicidio e, nonostante siano separati di fatto per via di un tradimento di lui (e questa volta niente prostitute nere a bordo strada, niente casini con Liz Hurley per il caro vecchio Hugh), si ritrorvano nel Wyoming, per il programma di protezione testimoni. Entrambi sono newyorkesi veraci, la lontananza da casa subito li fa andare fuori di testa, ma ovviamente poi li avvicinerà (più scontato di così...).
Ho detto fin troppo dietro a questa commediola.
Un buuuu generale per la mia amata Sarah Jessica, prima di tutto per il suo sempre più accentuato piede in faccia, poi perché non ha brillato, forse fuori dalla cornice della Grande Mela anche lei perde tutto il suo fascino.
Una curiosità sul regista: negli anni '90 ha diretto alcuni episodi della serie Sweet Valley High (alzi la mano chi se la ricorda)...

sabato 13 febbraio 2010

Up, 2009, Pete Docter, Bob Peterson


Stento a crederci persino io: ho guardato un cartone animato e mi è piaciuto!
Non solo, ho anche pianto, e riso, e mi sono emozionata...insomma, io che guardo con interesse e apprezzo un film d'animazione?
Tutti sanno che odio i cartoni animati, a 9 anni guardavo già Beverly Hills e Merlose Place, da parecchio avevo abbandonato i cartoni, non ne conosco neanche uno, nemmeno quelli più famosi della Disney, perché davvero non li ho mai visti...
(Domani guarderò La spada nella roccia, prometto).
Questo invece mi ha lasciata a bocca aperta: non solo perché l'ho trovato davvero fantastico per quanto riguarda i disegni e le animazioni (di cui m'intendo proprio poco, dovrebbero intervenire i miei amici grafici, sicuramente più esperti di me in materia), ma per la favolosa avventura che fa da sfondo a una storia d'amore senza età e senza tempo.
Carl Friedricksen (doppiato da Giancarlo Giannini, il mio amato) è un vecchietto mugugnoso che abita in una casetta dal fascino antico in un quartiere in fase di ristrutturazione. In quella vecchia casetta ci ha sempre abitato con l'adorata moglie Ellie, morta da poco, e li custodisce tutti i suoi ricordi, tra cui un Libro di Avventure.
Quest'album era stato iniziato dall'amata moglie, ma molte pagine erano rimaste vuote, in attesa di essere riempite di storie fantastiche che i due avrebbero voluto vivere insieme.
Il sogno di entrambi, sin da bambini, era infatti raggiungere le Cascate Paradiso in Sud America, un posto fantasticamente idilliaco che però non avevano mai potuto visitare.
Ma per il signor Friedricksen non è troppo tardi: per sfuggire al ricovero in una casa di riposo, decide di scappare, portando con se tutte le sue cose. Si sa, ad una certa età risulta difficile abbandonare le proprie abitudini, i propri oggetti, accumulati da una vita, e così decide di portare con se la sua casetta, legandola a una miriade di palloncini colorati.
Inizia così la magica avventura del signor Friedricksen, accompagnato da uno scout dolcissimo ma un po' impertinente, Russel, e da altri personaggi che incontrerà in Sud America, a cominciare da un "pennuto in technicolor", Kevin, e un fantastico cane di nome Doug (doppiato da Neri Marcorè), dotato di un collare telepatico che gli permette di parlare.
Ho amato Doug, è in assoluto il personaggio che mi è piaciuto di più ("Punta!", "Scoiattolo!").
Tra cani parlanti, esploratori cattivissimi, tempeste, giungle e chi più ne ha più ne metta, ho passato un'ora e mezza davvero piacevole...
Per essere uno dei primi cartoni della mia vita, direi che sono stata fortunata!

martedì 9 febbraio 2010

Stranger than fiction, 2006, Mark Forster


Corredato da una colonna sonora che, anche se magari non monumentale nei singoli autori,
riesce ad essere una perfetta compilazione di pezzi davvero belli, "Stranger than fiction" è una pellicola sovrana nel suo regno,imprescindibile gemma dall'alto valore qualitativo sia narrativo, sia tecnico.
Siamo a NYC, e la vita di Harold Crick (Will Ferrell), che sembra scorrere lungo i bordi di binari omologati e di una routine maniacalmente
selfmade, va in corto circuito: un mercoledi mattina, durante i suoi 76 colpi di spazzolino (contati meticolosamente, trentotto dall'alto al basso, trentotto in senso orizzontale), tutto va in tilt, inizia a sentire una voce femminile che narra l'esatto istante della sua vita in una sorta di radiocronaca: una voce narratrice fuoricampo che ne anticipa le intenzioni.
Harold inizia così a non riuscire più dove prima era impeccabile, al lavoro dove la sua notorietà e bravura di fiscalista era stimata dai colleghi, diventa impreciso e confuso, la trama della sua vita in tempo reale lo rende alienato, lo distoglie dal filo continuo che gli aveva permesso di raggiungere uno status quo che lui credeva essere un punto di arrivo.
Dopo i tentativi psichiatrici, proprio sotto consiglio di una dottoressa, entra in contatto con un professore di letteratura, interpretato da un Dustin Hoffman ironico al punto giusto,
che inizia a sondare, tramite vari questionari, quale possa essere l'autore della trama della vita di Harold.
In un'apoteosi di comicità nevrotica e surreale, Harold inizia a capire che non vi è psicosi dentro lui, ma qualcosa di più complesso.
Nel frattempo, Emma Thompson interpreta la parte di una famosa ed apprezzata scrittrice nel pieno di un blocco creativo: la sua vita, e quella di Harold Crick sono molto vicine.
Sono queste le due storie che parallelamente portano avanti la struttura del film fino a che non s'intersecano. Menzione per una splendida e sognante Maggie Gyllenhaall nel ruolo di fornaia.
Mi piace citare, al di la della commedia in sè molto ben riuscita, la godibilità dei contenuti che sono alla base della storia, ovvero, anche se sintetizzati a tratti all'osso e resi fruibili a tutti,
i significati che possono stare davanti alla parola vita, alla parola felicità, con una giusta dose di romanticismo comunque mai scontato che rende l'atmosfera davvero piacevole.



*recensione scritta da Davide

An Education, 2009, Lone Sherfig


Periferia di Londra, 1961.
Quando i Beatles cominciano a raggiungere il successo e le ragazze iniziano a portare la minigonna, la sedicenne Jenny (Carey Mulligan) ha a cuore pochi desideri: frequentare la facoltà di lettere a Oxford e, un giorno, raggiungere la tanto sognata Parigi, fumare Gauloises sul lungo Senna e vivere da bohemien, ma per il momento deve accontentarsi di ascoltare le canzoni di Juliette Grèco nella sua cameretta.
Jenny è la prima della classe, è una virtuosa del violoncello e la sua sola preoccupazione è riuscire a prendere buoni voti in latino, unica materia in cui fatica un po'.
In un giorno di pioggia fa la conoscenza di David (Peter Sarsgaard), un affascinante trentenne che le offre un passaggio in macchina: Jenny rimane subito molto affascinata e molto coinvolta da David, che inizia a portarla in ristoranti da sogno, posti magnifici che lei fino a quel momento aveva potuto solo sognare. I genitori di lei (il padre è Alfred Molina, che qualche settimana fa ho visto in Frida, faceva la parte di Diego Rivera, e la madre è Cara Seymour, me la ricordo in American Psycho e nel tristissimo Dancer in the dark) rimangono affascinati dai modi gentili e persuasivi di David, dal fatto che sia ricco e che tratti la loro bambina come una principessa.
Ma Jenny si chiede se e quanto valga la pena accantonare gli studi per vivere davvero la vita che ha sempre sognato, arriva a scontrarsi con la sua professoressa e la direttrice della scuola (interpretata da Emma Thompson-sennò che film inglese sarebbe?), che rappresentano il volto più conservatore dell'educazione. Ma lei non può non andarci a bagno con David, playboy dandy che la porta a Parigi e che la trasforma in una simil Audrey Hepburn, che le fa vivere una vita da sogno. Perché continuare a studiare se studiare è duro e noioso?
Lo scrittore Nick Hornby, alla sua prima sceneggiatura non tratta da un suo libro, si basa sulle memorie di una giornalista, tralasciando i temi a lui cari presenti nei suoi libri, come lo sport, la cultura musicale, per far luce sull'educazione sentimentale e sessuale di una ragazza, del passaggio dall'adolescenza alla consapevolezza di essere donna.
Devo ammettere che mi aspettavo qualcosina di più da questo film, ma mi è piaciuto, soprattutto Carey Mulligan che ha la mia età e spacca...si porta sulle spalle tutto il film, è davvero brava. Lui, Peter Sarsgaard, è la copia bruttina di Ewan McGregor, potevano scegliere uno un po' più belloccio e affascinante per questa parte, secondo il mio modesto parere...
Comunque sia, anche questo film si porterà a casa qualche Oscar, spero proprio che si aggiudichi la statuetta per la miglior attrice protagonista.


lunedì 8 febbraio 2010

Tra le nuovole, 2009, Jason Reitman


Grazie Ila, grazie davvero tesoro per avermi consigliato la visione di questo film. E per avermi ricordato che il regista è lo stesso di Juno, ma non solo, anche di Thank you for smoking, che avevo adorato ai tempi.
Negli States attanagliati dalla crisi economica, in cui i licenziamenti sono ormai sempre più numerosi e sempre più necessari, Ryan Bingham (Clooney, devo ammettere che è davvero bravo e anche un gran manzo, ma mi è sceso da quando si fa la Canalis...lo preferivo quando si fidanzava con le cameriere) è un "tagliatore di teste", un "job killer": vola per 322 giorni l'anno, da una parte all'altra del paese, a licenziare le persone, quello sporco lavoro che le aziende si vergognano a fare. Si siede ogni volta ad una scrivania diversa, che sia a Milwaukee, Tampa o Kansas City e con modi gentili ma sbrigativi, con una professionalità al limite della freddezza, stronca le carriere delle persone, senza lasciarsi commuovere di fronte ai pianti, o alle minacce di suicidio o alle confessioni disperate di chi non riuscirà più a mandare avanti una famiglia. Ryan invece una famiglia non ce l'ha, non ha nemmeno una casa: vive negli alberghi e negli aeroporti, si sente a casa tra le macchinette automatiche degli snack e vive collezionando mille tessere che gli assicurano di non fare code ai check-in, o l'entrata in esclusivi vip club di orrendi executive hotel, fino ad agognare la fidelity card dell'American Airlines con un milione di miglia (per non farsene niente...solo per il gusto di accumulare).
Ha un piccolo trolley in cui tiene le sue poche cose piegate minuziosamente, non ha bisogno di portare con se tanta roba, per lui gli oggetti sono un peso di cui bisogna liberarsi (tanto che tiene conferenze in giro per gli States su come organizzare il proprio bagaglio).
Ryan, da buon habituè degli aeroporti, sa com'è meglio muoversi per non perdere tempo: un trolley rapido e leggero, mai andare in coda dietro bambini (fanno troppo casino) o anziani (si muovono lentamente e hanno ferri e chiodi nel corpo), ma sempre dietro gli asiatici, che sono rapidi e portano mocassini (quest'uomo vive di stereotipi!).
Ryan sa bene che la vita del piccione viaggiatore non gli permette di creare legami stabili, ne coi suoi familiari ne con un'ipotetica compagna: durante le sue conferenze spiega sempre come i legami affettivi siano un peso di cui bisogna liberarsi, per lui zero responsabilità, zero complicazioni, solo passpartout per le migliori camere d'albergo in caso incontrasse qualche distrazione...(quanto gli piace a George fare l'eterno single beccione...gli calza proprio a pennello).
Ed è proprio durante uno dei suoi numerosissimi voli che conosce Alex (Vera Farmiga), una donna identica a lui: sempre in viaggio, affascinante quanto misteriosa, sensuale e cinica al punto giusto. I loro incontri sono sempre delle parentesi tra un viaggio e un altro, almeno fino a quando lui non capisce di provare realmente qualcosa...
Ma la sua fantastica vita di piccione viaggiatore sta per essere minacciata dall'arrivo di una neolaureata nell'azienda per cui lavora, Natalie (Anna Kendrick, ho letto che ha fatto anche Twilight ma fortunatamente non l'ho mai visto), che propone di ottimizzare il lavoro: eliminando i costi di aerei, alberghi e viaggi infatti sarebbe molto meno dispendioso licenziare le persone direttamente dalla sede in videoconferenza.
Nonostante la severità e l'impegno a essere dura per poter fare questo lavoro, Natalie soffre a licenziare le persone e mostra un barlume di umanità e di tenerezza che solo raramente colpisce il nostro George.
Ci sono delle cose parecchio piacevoli di questo film che vorrei segnalare: innanzitutto ogni viaggio di Ryan è scandito da inquadrature dall'aereo della città in cui sta atterrando, quelle immagini così geometriche delle città viste dall'alto, ed è un modo davvero carino per far capire allo spettatore i vari spostamenti del protagonista; poi, in aeroporto, tutti i luoghi comuni sulle varie nazionalità ("...gli arabi, casualmente selezionati per un'ulteriore controllo..."); la foto-cartonato di sua sorella e il futuro marito che Ryan si porta dietro durante i suoi viaggi, una trashata ma davvero un'idea naif ai limiti del pacchiano che mi è sembrata davvero spiritosa.
Una commedia dolceamara sui rapporti reali e virtuali, terrestri e aerei, in cui si evince che i sentimenti la fanno sempre da padrona, anche in un periodo in cui la tecnologia pareva aver soppiantato le emozioni. Fortunatamente Jason Reitman non ci regala l'happy ending, ma è un film che ti lascia davvero felice di averlo visto.
Chissà quanti Oscar si porterà a casa...

giovedì 4 febbraio 2010

Tootsie, 1982, Sydney Pollack


Ah, delizioso. Mi ricordavo di averlo già visto da piccola con mio padre, grande amante di Dustin Hoffman, ma mi ero dimenticata completamente del meraviglioso mondo delle soap opera che fa da sfondo a tutto il film.
Tootsie infatti è un'attrice di sceneggiati televisivi, quegli orrendi polpettoni americani girati negli ospedali con attori pessimi e trame peggio ancora.
Ma a dare una svolta a Southwest General (parodia non troppo velata di General Hospital) ci pensa Dorothy Michaels, un' attrice alquanto bizzarra, che in realtà è un attore, il cui vero nome è Michael Dorsey (appunto Dustin Hoffman). Trovandosi senza un lavoro e senza soldi, accetta di mettere in un cassetto la sua professionalità di attore e di travestirsi da donna per lavorare in un pessimo prodotto della tv spazzatura.
Il travestimento è a dir poco fantastico (non come Misses Doubtfire...maledetto Patch Adams) e il ruolo nella soap gli si addice a pannello, ma Michael, se pensava fosse un'esperienza solo temporanea, non aveva fatto i conti con il pubblico, che comincia ad amare il personaggio di Dorothy al punto che gli viene rinnovato il contratto per un anno. Sul set fa amicizia con Julie (Jessica Lange, oddio, è bellissima) e inutile dirvi che si innamorerà di lei...
In fondo è una commedia romantica, ma anche un'accusa non troppo velata alla televisione e alla sua scarsa professionalità, che Michael/Dorothy cercherà di smascherare dall'interno, adottando lo stratagemma più usato nella storia, quello del travestimento e del gioco degli equivoci.
Non vi sto a dire nemmeno quanti premi ha vinto, non dico che alcune gag non siano scontate, ma a me è piaciuto, l'ho trovato proprio carino, ma io venero Dustin Hoffman dai tempi de Il Laureato...