martedì 12 gennaio 2010

La mia vita in rosa, 1997, Alain Berliner


"Per fare un bambino i genitori giocano a poker. Mi segui fin qui?
Quando uno vince, Dio manda delle X e delle Y, XX per le femmine, XY per i maschi, è chiaro?
Ma la mia X da femmina è finita nella spazzatura e al suo posto è arrivata una Y, errore scientifico. Ma Dio sistemerà tutto. Mi manderà la mia X e noi potremmo sposarci."

Ludo ha 7 anni. Porta i capelli lunghi con la frangetta, gioca con le bambole e adora i vestiti rosa. Ludo però è un maschio, che non accetta di essere come i suoi fratelli.
Ludo è puro, dice sempre quello che pensa. Vorrebbe sposare il suo amico del cuore, e si crede un bambino-femmina.
Ma inevitabilmente questo suo essere così limpido lo porterà ad essere escluso a scuola, gli verrà imposta la terapia, le difficoltà in famiglia saranno sempre più grosse.
Il padre non riesce a capire, è brusco e alza la voce, la madre e la nonna invece si fanno forza, tentano di stargli vicino e di comprenderlo. Ma non è facile.
Io personalmente ho avuto voglia per tutto il film di stringere Ludo, mi sono commossa e ho pianto. Per la spontaneità, per la sua fragilità, per come soffre.
Questo film belga ha vinto il Gran Prix al Festival internazionale del cinema Karlovy Vary del 1997, il Golden Globe 1998 per il miglior film straniero, il Swann d'oro al miglior film al Festival di Cabourg del 1997. Io non ne avevo mai sentito parlare, l'ho guardato incuriosita dalla trama e ne sono rimasta davvero colpita. Ora sarà meglio che smetta di piangere, va.

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