giovedì 28 gennaio 2010

Il Riccio, 2009, Mona Achache


"Un film che ti lascia la voglia di leggere il libro ma non la voglia di rivedere il film".
Così Massi ieri sera alla Lepre mi raccontava le sue impressioni su Il riccio, il film che ho deciso di vedere stasera. Innanzitutto, ammetto, non ho letto il libro, il romanzo L'eleganza del riccio di Muriel Barbery, caso letterario del 2006, best seller, 50 ristampe e oltre 600 mila copie vendute.
Ma sono curiosissima di leggerlo: il film è davvero commovente, le vite dei protagonisti così intricate e mi è piaciuto il senso di tenerezza che ho provato per loro.
Ma andiamo con ordine.
Reneè (Josiane Balasko) di mestiere fa la portinaia e ne incarna perfettamente lo stereotipo: è grassa, sciatta e scorbutica, ma i condomini del palazzo di lusso a Rue Grenelle a Parigi per cui lavora ignorano completamente che la loro portiera ha un'anima colta e raffinata, ama il cinema, si interessa di filosofia, di cultura giapponese e ama i grandi classici della letteratura come Tolstoj e Kafka.
Nell'elegante stabile, abitato da famiglie facoltose, vive una ragazzina le cui vicende si intrecceranno con quelle di Reneè, la dodicenne Paloma (Garance La Guillermic): perennemente con la videocamera al seguito, Paloma filma il mondo che la circonda, per lo più le vicende degli adulti che le stanno intorno, decisa a non diventare come loro, ovvero come dei pesci in una boccia, al punto che organizza in ogni dettaglio il suo suicidio, che dovrà essere il giorno del suo compleanno. Le paranoie di questa ragazzina mi hanno inquietata profondamente: è troppo sensibile, troppo profonda per sopportare di vivere nella mediocrità come tutti quelli che conosce.
A sconvolgere le consuetudini di Reneé e Paloma sarà l'arrivo di un nuovo inquilino nel palazzo: il giapponese Kakuro, un signore tanto misterioso quanto affascinante.
Kakuro si avvicina a Paloma e a Reneè perchè interessato, incuriosito da questi personaggi così complessi. Riuscirà a "sbloccare" la portinaia, a farla uscire dalla sua scorza così ruvida e a donarle una nuova luce. Paloma invece capirà, grazie all'aiuto del nuovo vicino, qualcosa in più sulla vita e sull'importanza della stessa.
Pare che l'autrice del romanzo non sia stata contenta della riuscita del film, devo leggerlo assolutamente!

Avatar, 2009, James Cameron


“.. l'evento cinematografico dell'anno” , ..“un film da non perdere” , ..“la rivoluzione del cinema” … Sono solo alcune delle frasi che dall'uscita di questo 'capolavoro' , il 15 gennaio di questo nuovo anno, si sentono ripetere dalla tv, dai giornali e da chi l'ha gia visto.

Il film è ambientato in un futuro non troppo lontano da noi su un pianeta gigante, Pandora, con foreste pluviali e alberi che arrivano a 300 metri, il tutto su montagne che sembrano sospese nel vuoto, il che mi ha ricordato un film di Myazaki che ho visto da poco, Laputa e il castello nel cielo, che consiglio vivamente. E' abitato da diversi tipi di creature e tra queste c'è il popolo evoluto dei Na'Vi, alti tre metri e ricoperti di una pelle blu striata come le tigri. Il pianeta è ricco di minerali ma quello che tra tutti ha portato su Pandora l'RDA, una compagnia interplanetaria terrestre, è l'Unobtainium. Sarà proprio l'ambizione di ricavare profitto dal minerale che porterà Parker Selfrige (uno spietato Giovanni Ribisi) a fare battaglia al popolo Na'Vi che sfortunatamente vivono sulla zona piu ricca di Unobtainium del pianeta. Il protagonista è Jake Sully (Sam Worthington), ex marine divenuto invalido che continuerà il progetto del fratello gemello, scienziato dell'RDA, morto ammazzato. In pratica il marine deve integrarsi nel popolo Na'Vi attaverso l'uso di un AVATAR, un ibrido tra uomo e Na'Vi che è controllato dagli umani attraverso un'interfaccia mentale. Il tentativo di trovare una soluzione diplomatica tra le due parti fallirà e il film è poi un susseguirsi di amore, odio, rabbia, dolore, fratellanza, amicizia, ecc.... attraverso personaggi come Dr. Grace Augustine (Sigurney Weaver, quella di Alien), Neytiri (Zoe Saldana) figlia del capo tribu Na'Vi, Trudy (Michelle Rodriguez, ha sempre parti di donne cazzute, qui è il pilota di aeri missilistici) e il colonnello Miles Quaritch (Stephen Lang), che vede nella guerra l'unica soluzione diplomatica.

A parte la durata del film (ben 2 ore e 40 minuti con addosso gli occhiali 3D, che non sono ne pratici ne comodi), la tipologia di film che classifico come roboante e rumorosissimo e non tra i miei preferiti, la storia un pò melensa, e la terribile manifestazione di massa per vedere questo film, la mia prima esperienza in 3D non è andata cosi male, diciamo che non mi è dispiaciuta e che rifarei anche perche sono stata piu emozionata di vedere il trailer di “Alice nel paese delle meraviglie” anche lui in 3D,che sarà nelle sale a marzo 2010 e che aspetto con trepidazione.


*recensione di Chiaretta


mercoledì 27 gennaio 2010

Nine, 2009, Rob Marshall


Inizio subito dicendo che è il film più brutto che ho visto negli ultimi tempi. Non mi dilungo nemmeno a fare il paragone con Otto e mezzo, il capolavoro di Fellini a cui è ispirato questo musical. Forse non sarei neanche dovuta andarlo a vedere (Marci aveva ragione), sono partita già prevenuta, ma dello stesso regista avevo visto Chicago e Memorie di una geisha, non ero impazzita ma non mi avevano nemmeno fatto schifo... Il fatto è che si tratta proprio di un'americanata: tralascia completamente alcune parti salienti dell'originale, è anche vero che non si tratta di un remake, ma utilizza alcuni punti chiave del film per farli diventare una storiella intervallata da canti e balli. Il cast è senza dubbio stellare: Daniel Day-Lewis nella parte che fu di Mastroianni è un gran fico ed è l'unico che salvo. E' bravissimo, non c'è che dire, ma non è neanche lontanamente paragonabile all'interpretazione di Mastroianni. Neanche un po'.
Comunque sia, siamo negli studi di Cinecittà nel 1965. Guido Contini (e non Guido Anselmi come in Otto e mezzo, perchè?) è un regista in crisi creativa, il suo produttore e il suo staff (la parte del produttore è stata affidata a Ricky Tognazzi, nel film ci sono parecchi attori italiani, Mastrandrea, Elio Germano - per la felicità di mia cugina- e anche Martina Stella - ho detto tutto) gli stanno addosso per farlo lavorare con impegno al nuovo film, ma lui ha troppi casini per la testa. Il suo più grande problema è il rapporto con le donne della sua vita: la moglie (Marion Cotillard, bellissima e fredda ma non ha le camicie con lo scollo alla coreana - in pochi capiranno), l'amante (Penelope Cruz nel ruolo che fu della Milo.....ah, ho sofferto parecchio), la sua musa (la Kidman, nell'originale era la Cardinale, completamente opposte l'una all'altra) e la madre, che gli appare nelle vesti di un fantasma dei suoi ricordi (interpretata dalla Loren. Ti prego Sofia, mai più. Mai più una cosa del genere. C'era chi sghignazzava al cinema "La Loren è di legno!"). Un disastro, ma soprattutto, che fine ha fatto l'amica Rossella, grillo parlante e consigliera di Guido? Mi volete forse dire che nel musical è la costumista (Judy Dench con un'improbabile frangetta)? E perchè? Secondo punto sconvolgente, chi guarderà Nine si chiederà: ma Kate Hudson, per quanto strafiga e stilosissima, COSA C'ENTRA?? Mi ricorderei benissimo se in Otto e mezzo ci fosse stata una giornalista di Vogue che ci provava col protagonista. Assurdo! Per non parlare del suo stacchetto, in cui sfodera tutti i luoghi comuni possibili sugli italiani e il nostro cinema, imbarazzante. Lo allego perché fa ridere:

Non è male neanche Fergie dei Black Eyed Peas nel ruolo della Saraghina, molto molto somigliante.
Sta di fatto che ho buttato via 4 euri e nella sala 1 del Cineplex c'era anche il riscaldamento rotto.

venerdì 22 gennaio 2010

Correndo con le forbici in mano, 2006, Ryan Murphy


Quando ho letto che il regista di questo film è l'ideatore di Nip/Tuck non ho potuto resistere. Quanto amo quel telefilm! In mancanza di nuovi episodi sui miei chirurghi plastici preferiti, ho optato per una sana visione di questo film. Mi è piaciuto, mi è piaciuto tantissimo.
Ryan Murphy ha trasportato su pellicola l'omonimo romanzo autobiografico di Augusten Borroughs. Un'incredibile autobiografia, un'infanzia e un'adolescenza impietose, a fare da sfondo, l'America degli anni '70.
Augusten ha una madre (Annette Bening) a cui probabilmente assomiglierò tra una ventina d'anni: fantastica, ma ossessionata da se stessa e dal desiderio di affermarsi come scrittrice. Suo padre (Alec Baldwin), è un lardoso rovinato dall'alcool. Il rapporto tra i due è ovviamente non idilliaco...tentano di farsi fuori a vicenda più volte (adoro questo genere di litigate, presto riguarderò La guerra dei Roses). Augusten viene mandato dalla madre a casa del suo psichiatra, il Dottor Finch (Brian Cox).
Lei è troppo disturbata per prendersi cura di Augusten, ma la casa del Dottor Finch non è proprio un luogo sano, per così dire. Anzi, direi che si tratta di una realtà ancora più borderline.
La storica Bennie and the Jets di Elton John accompagna il suo arrivo nella casa dello psichiatra, una villa vittoriana fucsia piena di cose strane, bizzarre, di un gusto delirante-kitsch portato agli estremi. Conosce la moglie del dottore (Jill Clayburg) chiaramente allucinata, amante del cibo per cani e dei film horror di serie B, la figlia Natalie (quella stronzetta di Evan Rachel Wood, fidanzata di Marylin Manson e nuova musa di Allen-spero che Diane Keaton non gli rivolga più la parola), che caso strano interpreta la parte della ragazza facile e disturbata, e l'altra figlia Hope (fantastica Gwineth Paltrow con fantastici gonnelloni vittoriani). La vita in casa Finch è decisamente naif, per non dire allucinante: l'albero di Natale che rimane acceso tutto l'anno, il gatto Freud che comunica con Hope, gli oggetti assurdi che riempono la villa, a fare da sfondo a una famiglia eccentrica turbata da mille frustrazioni. Augustin lega soprattutto con Natalie, sua coetanea e cinefila quanto lui. Al Lina Wertmuller Film Festival, lui le rivela di essere gay, alchè lei decide di presentargli il fratello adottivo, Neil (Jospeh Fiennies), che lo inizia alle gioie del sesso: Augusten ne rimane sconvolto, come del resto quando scopre che la madre è lesbica.
In alcuni punti la trama va un po' a rilento, la storia risulta compassionevole e fin troppo improbabile, episodi al limite del surreale creati ad hoc per turbare lo spettatore. Ma sono abituata ai colpi di scena con Nip/Tuck, anzi, le esagerazioni me le aspettavo (e speravo) in questo film. Ho notato altre analogie con la serie: innanzitutto la scelta di inserire molte canzoni, come dei lunghi videoclip, per sdrammatizzare le sensazioni inquietanti che trasmettono i personaggi. Ma anche l'atmosfera glamour-patinata, l'attenzione per i dettagli improbabili, i colori accesi che contrastano con le grigie esistenze dei personaggi, caratterizzati da isteria, perversioni psicologiche e autolesionismo.

Questo trailer non rispecchia minimamente il senso del film, maledetti addetti al montaggio!


Frida, 2002, Julie Taymor


Ogni volta che vado a mangiare da Mamacita (celebre ristorante messicano di Via Prè), rimango sempre affascinata dalle fotografie dei dipinti di Frida Kahlo. Avevo già visto questo film quando era uscito, ero rimasta davvero colpita dalla vita privata così piena di sofferenze della pittrice. Ieri l'ho rivisto a casa di mia cugina.
Conoscevo sommariamente i suoi quadri, così crudi e schietti, il suo volto raffigurato in molti autoritratti, con le sopracciglia unite che tanto la contraddistinguevano, ma rivedere il film mi ha fatto ricordare che Frida non era solo la più famosa pittrice messicana, ma anche una combattente, militante politica, una pioniera del femminismo.
Il film ripercorre la vita della pittrice (interpretata da Salma Hayek, anche produttrice della pellicola) dall'incidente sull'autobus, a 18 anni: da quel momento, infatti, Frida inizierà ad amare la pittura, dipingendo continuamente, costretta a letto per mesi a causa delle dolorosissime e infinite operazioni, che la distrussero più dell'incidente in se. Parallelamente, la conoscenza e poi l'amore per Diego Rivera (Alfred Molina), uno dei pittori più affermati e ammirati di quel periodo, un omone di 150 chili, pluridivorziato, donnaiolo e di quasi vent'anni più grande di lei. Un'unione difficile, per via dei continui tradimenti di lui, che Frida sopporta a malincuore, finchè non scopre la relazione tra Diego e sua sorella Christina (Mia Maestro), e decide di chiedere il divorzio, per tornare da lui un anno più tardi, consapevole del legame troppo forte che li unisce. Anche lei comunque, forse per pareggiare i conti con Diego, si fece una sfliza di amanti, uomini e donne (per lo più amanti anche di suo marito). Non mi ricordavo che fosse stata anche l'amante di Trotsky, benchè anni più tardi venisse sospettata dell'omicidio insieme al marito Diego. Una vita costellata di incontri eccezionali, Picasso, Nelson Rockefeller, Breton, Eisentstein, ma segnata dalla profonda sofferenza che l'ha accompagnata fino alla sua morte, a 47 anni. Una sofferenza che si riscontra nella sua produzione: il rapporto ossessivo col suo corpo martoriato, le pene e le delusioni per Diego, il desiderio, mai realizzato, di avere un bambino dall'uomo che ama.
Bravissima Salma Hayek, tanto che la nipote della Kahlo le donò una collana appartenuta alla pittrice, fantastici i gli abiti e le pettinature di Frida, riprese dalla cultura popolare messicana, ampi e lunghi gonnelloni e capelli intrecciati con nastri colorati. Oscar e Bafta per i migliori costumi.

mercoledì 20 gennaio 2010

A Serious Man, 2009, Joel & Ethan Coen


L'uomo serio dei Coen spacca. Non c'è molto da dire o da fare. Ho adorato questo film, forse perché si tratta di una pellicola mooolto alleniana, vuoi per l'ambientazione ebraica, vuoi per l'imbranato che cerca aiuto presso dei rabbini (visto come una sorta di psicanalista).
Sta di fatto che con questo film i Coen hanno confermato la mia opinione più che positiva sulla loro produzione, da Fargo in poi non mi hanno mai delusa.
Ma facciamo un passo indietro: Larry Gopnik (Michael Stuhlbarg) è professore di fisica, vive nel Minnesota, siamo nel 1967. Vivrebbe anche tranquillo se non avesse le moglie che si innamora di un amico di famiglia e vuole il divorzio, il figlio che si avvicina al Bar mitzvah che si fuma un sacco di canne d'erba, la figlia adolescente che gli ruba i soldi dal portafoglio per farsi la rinoplastica (che ebrea sarebbe sennò?), il fratello disoccupato che si accampa sul suo divano, uno studente sudcoreano che tenta di corromperlo e una vicina di casa ammaliante che turba i suoi sonni (ma anche le sue veglie).
Insomma, un disastro. Larry è troppo tranquillo e ordinario per potersi ribellare alla sua instabilità esistenziale. Non riesce nemmeno a dire "a" quando sua moglie e il nuovo compagno lo sistemano senza tante storie in un motel, o quando viene minacciato dal padre del suo studente sudcoreano. Larry deve uscire da questa situazione, quindi viene incoraggiato da amici e parenti a vedere dei rabbini: ne vede tre, come si vede uno strizzacervelli.
Autoironica e paradossale visione del mondo ebraico, vincitrice di un National Board of Review Awards per la miglior sceneggiatura originale, un Indipendent Spirit Award, un Satellite Award per miglior attore di commedia a Michale Stuhlbarg e National Society of Film Critics Award per la miglior sceneggiatura originale.
Ah, ancora una cosa. Emozione. Più volte durante il film parte la voce di Grace Slick con l'indimenticabile successo dei Jefferson Airplane, Somebody to love.

sabato 16 gennaio 2010

Fragola e cioccolato, 1994, Tomàs Gutièrrez Alea


Fragola e cioccolato sono due gusti di gelato che mal si combaciano. Sono come Diego (Jorge Perrugorìa) e David (Vladimir Cruz). Il primo è un intellettuale gay in procinto di allestire una mostra d'arte, mentre il secondo è un giovane studente militante castrista. Nel 1979, nel pieno del regime, essere omosessuale significa continui controlli della polizia, esposizione al pubblico ludibrio, lavoro coatto... Questa è una storia di amicizia, di integrazione, di curiosità, di rispetto.
Diego cerca di conoscere David, che al principio è infastidito dalle attenzioni che questi gli rivolge: non vuole farsi vedere con lui, chiede di considerarlo uno sconosciuto in pubblico e non vuole che gli vengano attribuiti vezzeggiativi nemmeno in privato.
Ma non vuole troncare quest'amicizia che sta nascendo, è affascinato, a modo suo, dall'anima di libero pensatore di Diego. A casa sua infatti può leggere opere d'autore e ascoltare dischi introvabili perché proibiti dal regime, disquisire di poesia e storia. E ammirare Diego per il suo anticonformismo nei confronti del regime, così acritico e costrittivo, per i suoi interessi culturali, per la libertà che trasuda, pur essendo continuamente vigilato.
Un virile abbraccio alla fine del film suggella un'amicizia destinata a durare, anche se Diego dovrà lasciare Cuba per sottrarsi alle persecuzioni.
Ho pianto anche stavolta, cacchio. Anche se il personaggio di Diego, per quanto ricco di interessi e di cultura, mi è sembrato una forzatura, una caricatura dell'omosessuale, mi ha ricordato un po' nelle movenze, nei gesti, Tom Selleck in In & Out, ma anche Robin Williams in Piume di Struzzo (remake del Vizietto con Tognazzi, che consiglio caldamente). Troppo esagerati, troppo checche.
Orso d'Argento al festival di Berlino del 1994, Teddy Award per le tematiche GLBT affrontate e candidato all'Oscar come miglior film straniero.

venerdì 15 gennaio 2010

Ogni cosa è illuminata, 2005, Liev Shreiber


Ogni cosa è iluminata dalla luce del passato.
Per questo Jonathan (Elijah Wood) cataloga e custodisce preziosamente ogni ricordo della sua famiglia. Sulla scia di questa ricerca della memoria, parte dagli Stati Uniti e raggiunge l'Ucraina, paese da cui la sua famiglia, ebrea, era scappata per fuggire alla furia nazista. Ha con se solo una foto del nonno e sa che proveniva da un paese chiamato Trachimbord.
Inizia così il viaggio verso questo paese, per farsi aiutare si fa accompagnare dall'agenzia Heritage Tours, composta da nonno, nipote (Eugene Hutz dei Gogol Bordello, l'ho adorato anche in Sacro e Profano, è un fenomeno), una macchina scassata che creerà non pochi problemi e una cagnetta mentalmente squilibrata ma con un nome fantastico: Sammy Davis Junior Junior.
Questo film mi ha molto coinvolto, non solo mi sono fatta trascinare e sorprendere da Eugene Hutz, ma tutti i personaggi mi hanno ispirato particolari sensazioni. Il nonno, che per tutto il tempo del viaggio è bisbetico e scostante, ritrova se stesso e vince la sua cecità rivivendo il suo passato di insopportabile vergogna; Jonathan, che con metodica devozione cataloga ogni singola cosa che può costituire la memoria della sua famiglia, è inquietante ma puro, genuino.
Io l'ho adorato, ne sono rimasta stupita, colpita, soprattutto nel finale: Trachimbord non esiste più sulla cartina geografica, è uno shtetl bruciato come tanti altri dai nazisti, ma sopravvive nell'anima e nel ricordo di chi ne ha pazientemente conservato le tracce.


martedì 12 gennaio 2010

La mia vita in rosa, 1997, Alain Berliner


"Per fare un bambino i genitori giocano a poker. Mi segui fin qui?
Quando uno vince, Dio manda delle X e delle Y, XX per le femmine, XY per i maschi, è chiaro?
Ma la mia X da femmina è finita nella spazzatura e al suo posto è arrivata una Y, errore scientifico. Ma Dio sistemerà tutto. Mi manderà la mia X e noi potremmo sposarci."

Ludo ha 7 anni. Porta i capelli lunghi con la frangetta, gioca con le bambole e adora i vestiti rosa. Ludo però è un maschio, che non accetta di essere come i suoi fratelli.
Ludo è puro, dice sempre quello che pensa. Vorrebbe sposare il suo amico del cuore, e si crede un bambino-femmina.
Ma inevitabilmente questo suo essere così limpido lo porterà ad essere escluso a scuola, gli verrà imposta la terapia, le difficoltà in famiglia saranno sempre più grosse.
Il padre non riesce a capire, è brusco e alza la voce, la madre e la nonna invece si fanno forza, tentano di stargli vicino e di comprenderlo. Ma non è facile.
Io personalmente ho avuto voglia per tutto il film di stringere Ludo, mi sono commossa e ho pianto. Per la spontaneità, per la sua fragilità, per come soffre.
Questo film belga ha vinto il Gran Prix al Festival internazionale del cinema Karlovy Vary del 1997, il Golden Globe 1998 per il miglior film straniero, il Swann d'oro al miglior film al Festival di Cabourg del 1997. Io non ne avevo mai sentito parlare, l'ho guardato incuriosita dalla trama e ne sono rimasta davvero colpita. Ora sarà meglio che smetta di piangere, va.

La morte e la fanciulla, 1994, Roman Polanski


Era tanto che non scrivevo circa la critica di un qualche manipolato creativo,
e in realtà mai l'avevo fatto prima per il cinema, ma vuoi la casualità, vuoi il film in questione,
vuoi per tanti altri piccoli o meno piccoli motivi, eccomi qui a parlare in questo blog di una pellicola del '94 dell'ultimamente nuovamente discusso Polanski.
La narrazione si svolge in un non ben definito Paese del Sud America da poco emerso da una feroce dittatura,
nel quale, vicinissimo alla costa, vive la famiglia composta da Paulina e Gerardo Escobar (Sigourney Weaver e Stuart Wilson).
Gerardo è una sorta di superstar della ristrutturazione democratica, e ha appena accettato di dirigere la commissione
che dovrà indagare sulle violazioni dei diritti umani accadute durante gli anni della dittatura,
durante i quali Paulina, in quanto dissidente, ha subito tremende torture e violenze sessuali.
Paulina viene al corrente dell'incarico tramite un notiziario radiofonico, poco prima di un blackout che isolerà l'abitazione anche telefonicamente.
Al ritorno del marito che giunge a casa accompagnato, su un'auto diversa, Paulina entra nel panico,
e spegnendo le candele che illuminano la casa, si rifugia nella penombra, alla finestra, armata di pistola.
Vedendo il marito scendere si tranquillizza, e scopre della foratura avvenuta alla sua auto e della gentilezza
del passante (Ben Kingsley) nel riaccompagnarlo a casa.
Quando la situazione pare rientrare nella tranquillità, dopo anche una discussione avvenuta con tema il nuovo incarico di Gerardo,
il gentile sconosciuto ritorna per consegnare la gomma che era stata dimenticata, ed entra per un drink.
Da qui, tutto prende una piega cupa, e si succederanno una sequenza di verità più o meno nascoste che verranno definitivamente a galla,
che vedranno gli incubi mai sopiti di una intensissima Sigourney Weaver prendere il largo
e avvolgere la trama del film in una coperta nera, brulicante di ricordi drammatici.
La tipologia descrittiva è quella tipica della paranoia
polanskiana, che non può non richiamare alla mente
stati ansiogeni ben noti di film come "L'inquilino del terzo piano".
La Weaver riesce a dominare la scena e a guidare il mood psicologico dello spettatore con un'inquietante naturalezza,
regalando una prova di notevole bravura.
Forse non è tra i girati più noti e apprezzati del regista franco/polacco, ma personalmente ritengo questo lavoro
un imprescindibile film da visionare per una completa comprensione sintattica e storica del cineasta.

*recensione scritta da Davide

lunedì 11 gennaio 2010

L'apparenza inganna, 2000, Francis Veber

"Primo: smetti di chiamarlo frocio!"

"Da quando passo per gay ho cominciato a sentirmi più uomo".


François (Daniel Auteuil) sta perdendo il posto di lavoro, la moglie l'ha lasciato dopo un matrimonio triste e senza passione, il figlio adolescente ha la sua vita e lo ignora. E' alla frutta, sta meditando per il suicidio. Ma viene salvato dal nuovo strambo vicino di casa, che gli consiglia una strategia per non farsi licenziare: fingersi gay. La ditta per cui lavora avrebbe un danno d'immagine enorme, e lui ha bisogno di lavorare per pagare gli alimenti all'ex moglie.
Inizia così la mia rassegna sull'omosessualità nel cinema, dopo la pausa per la mia vacanza a Berlino (ora dovrò assolutamente rimediare e rimettermi in pari!).
E inizia con un altro film francese, c'è anche Depardieau (più francese di così!), nella parte di un collega di François, Felix. Nell'ambiente lavorativo, tutti i suoi colleghi cominciano a guardarlo in modo diverso: da banale e scialbo eterosessuale di ieri si trasforma nel personaggio più sussurrato che fa scattare la curiosità e il pettegolezzo.
Attraverso la sua presunta omosessualità riuscirà a riconquistare l'interesse del figlio, con il quale finisce per fumare erba dopo una cena a base dei soliti "spaghetti alla piratesca".
Lo stesso regista ha diretto La cena dei cretini, in molti mi hanno detto che è un bellissimo film. Correrò presto ai ripari!

mercoledì 6 gennaio 2010

Otto donne e un mistero, 2002, Francois Oizon

Adoro i film francesi! Per di più questo film tutto al femminile è a tratti anche un musical! Non avrei potuto chiedere di meglio per un pomeriggio con mia cugina, adoro quando la gente si mette a cantare e ballare quando meno te lo aspetti!
Ma non si tratta di una commediola, è un giallo vero e proprio: in una villa sperduta tra la neve nelle campagne francesi viene ucciso il patriarca Marcel, e ogni donna della sua famiglia, per un motivo o per l'altro, potrebbe essere l'assassina.
La moglie (Catherine Deneuve), oppure la cognata zitella (Isabelle Huppert), ma anche le due figlie (Virginie Ledoyen e Ludivine Sagnier), la vecchia suocera (fa piegare dal ridere,"ma sei un'invertita?", Danielle Derrieux), o le due governanti (Emanuelle Beart e Firmine Richard)?
Ognuna di loro ha un motivo per farlo fuori. Intrighi familiari, soldi, potere, c'è tutto in questa trasposizione della piece teatrale Huit Femmes di Robert Thomas. A rendere il film davvero carino, oltre il cast fantastico, è la scenografia, così pomposa e colorata, e gli abiti delle signore (il film si svolge negli anni '50, c'è da dire altro?!), assolutamente fantastici.


martedì 5 gennaio 2010

Non bussare alla mia porta, 2005, Wim Wenders


Quinto film, ho scelto Wenders per questa sera. Ho iniziato a scaricarmi tutti i suoi film perché da marzo inizierò il corso di Storia e Critica del cinema della specialistica e sarà dedicato a lui. Ho già visto
Buena Vista Social Club e Il Cielo sopra Berlino, gli altri me li terrò per più avanti, ma questo stasera mi andava. Ed è stata un'ottima scelta. Il tema del viaggio come ricerca di se stessi, delle proprie radici e di quello che ci si è lasciati alle spalle...ero malinconica stasera.
Mi è piaciuto moltissimo, forse merito della fotografia particolarmente curata, come in tutti i film di Wenders (girato in Super 35mm, Wenders e Franz Lustig si sono ispirati ai dipinti di Edward Hopper e si è aggiudicato il premio per la miglior fotografia agli European Film Awards del 2005), molto più che per la trama.
Howard Spence (Sam Shepard, che c'era anche in Brothers l'altroieri) è un famoso e anzianotto attore di film western. Ma la sua vita e il suo lavoro lo stanno angosciando, scappa dal set del suo ennesimo polpettone western e fugge a cavallo e ancora in abiti da scena. Da qui inizia il suo percorso a ritroso nel passato: fa visita alla madre in Nevada, dopo aver passato molti anni senza farsi ne vedere ne sentire, e poi in Montana, dove trent'anni prima aveva girato il suo film di maggior successo e dove si era innamorato di una donna (Jessica Lange, io la trovo ancora splendida come in quel film bellissimo di Bob Rafaelson, Il postino suona sempre due volte). Scoprirà che c'è molto più di un cuore spezzato in quel paesino del Montana.
Mi piace Wenders, mi piace tantissimo.


lunedì 4 gennaio 2010

Il Dormiglione, 1973, Woody Allen



"Lei ha mai preso una posizione politica seria?"
"Certo! Una volta, da piccolo, per 24 ore rifiutai gli spinaci!"

"Il cervello? Il mio secondo organo preferito!"

"Sai che i topi mi fanno senso...molto più della censura!"

L'ho fatto.
E' stato più forte di me.
Mi ero ripromessa che avrei cercato di non guardare Allen per un po', ma ero con una persona che non aveva mai visto Il Dormiglione ed è stato doveroso regalargli questi 88 minuti di pura genialità. E non mi sembra neanche troppo scorretto parlare qui di questo film, visto che non ne ho discusso nella tesi. In effetti l'avevo solo guardato un paio di volte prima di oggi, ma giuro su Ziggy che l'ho rivisto mentre facevo lo stufato.
E' che ieri da Fabriek ho comprato un libro fotografico su Allen (ebbene si, niente scarpe stavolta) e mi è tornata la voglia.
E' stato fantastico rivedere Diane Keaton nei panni della poetessa Luna.
Oltre che bellissima, io la trovo davvero brava, ma credo che sia tutto merito del rapporto che c'era tra lei e Allen, collaborazione artistica e legame sentimentale, lui sa come renderla fantastica.
Lui è lui, e non c'è che dire. Questa volta veste i panni di Miles Monroe (Allen sceglie sempre nomi brevi e molto comuni per i personaggi che interpreta), che nel 1973 aveva un ristorante vegetariano a Bleeker Street, Il Sedano Allegro, ma che, dopo un'operazione mal riuscita all'ulcera, viene congelato e risvegliato nel 2173, ovvero 200 anni dopo l'ibernazione.
Si risveglia nel parallelo centrale della costellazione americana, che corrisponde agli attuali U.S.A., ora distrutti da una guerra atomica e diventati stato poliziesco in mano a un dittatore. Miles deve riabituarsi alla realtà, sarà difficile (leggi: esilarante) imparare a vivere nel 2173.
Viene risvegliato da due scienziati ribelli perché, in quanto privo di identità, non schedato, può indagare sul misterioso progetto "Aires". Costretto a nascondersi per fuggire alla polizia, si traveste da robot e viene affidato alla poetessa Luna. Scene esilaranti di lui che si finge robot e impazzisce nella cucina di lei ultrateconologica. La parodia della fantascienza è un genere difficilissimo, ma la forza comica di molte trovate, l'irriverenza polemica (contro il potere, la tecnologia, i mass media), l'intelligenza sono, comunque, fuori discussione.
Io l'ho adorato, non c'è dubbio, così pieno di battute su Dio, gli ebrei e il sesso.
Fantastico.

domenica 3 gennaio 2010

Brothers, 2009, Jim Sheridan


Terzo film del nuovo anno.
Agonia.
No, non voglio esagerare. Non mi aspettavo di certo di vedere un film leggero, poi mi conosco, i film di guerra mi mettono sempre un po' così. Che sia Vietnam o Afghanistan (non state guardando Nato il quattro luglio, per chiarirci). Non mi sono entusiasmata, forse perché prima di vedere il film in questione ho letto che il regista Jim Sheridan nel 2005 ha fatto un film con 50 Cent, il rapper...quindi sono partita prevenuta! Poi non amo Natalie Portman nonostante mi sia piaciuta moltissimo in Closer. Sta di fatto che la parte della mogliettina e madre che soffre e aspetta che il marito torni dalla missione le calza a pennello. Lui, il marito (Sam, Tobey Maguire), è bravissimo. E' un ufficiale che fa il suo dovere di patriota americano (parole del padre di Sam, veterano del Vietnam), ma in Afghanistan viene rapito insieme a un soldato della sua compagnia da dei ribelli e la prigionia lo distrugge. Viene dato per disperso, la sua famiglia si strugge. Grace, la moglie, si avvicina lentamente al cognato Tommy (Jake Gyllenhaal, Donnie Darko, I segreti di Brokeback Mountain, tanto per capirci), che è l'opposto del fratello: dedito a sbronze e risse, entra ed esce di prigione, ma durante l'assenza del fratello, che tutti credono morto, ha modo di riflettere sulla sua vita e sui suoi sbagli. Si avvicina a Grace e alle bambine, nasce un feeling e si arriva al fatidico bacio, momento che aspettavo da tutto il film, rovinato clamorosamente da una canzone degli U2 in sottofondo (maledetto Bono, riesce sempre a infilarsi ovunque con quella sua voce odiosa).
In Afghanistan, nel frattempo, mentre la moglie se la spassa con suo fratello, Sam vive un incubo: costretto dai soldati ad uccidere il suo compagno, impazzisce, e una volta tornato a casa e resosi conto del legame che si è instaurato tra Grace e Tommy ci scappa di testa ancora di più.
Questo film è un remake di un film danese del 2004 Non desiderare la donna d'altri, che si è aggiudicato diversi premi al Sundance Film Festival del 2005, forse avrei dovuto guardare prima l'originale, non escludo che lo farò per poterne parlare qui.

sabato 2 gennaio 2010

Monty Python e il Sacro Graal, 1975, Terry Gilliam e Terry Jones

"Camelot!"
"Camelot!"
"Capperi!"


Secondo film dell'anno, esilarante. Oggi avevo voglia di vedere qualcosa di leggero mentre facevo le palline di cioccolato (i film peso di solito li guardo alla sera o di domenica pomeriggio).
Personalmente adoro i Monty Python e questo film non ha deluso le mie aspettative.
Il non-sense, le gag surreali e gli sketch tipici del gruppo si riscontrano per tutta l'ora e mezza del film. Inframezzate, le illustrazioni visionarie di Terry Gilliam (allucinanti/allucinogene).
Ma al contrario di E...ora qualcosa di completamente diverso, che è composto principalmente da gag dello show della BBC, Monty Python's Flying Circus, questo film, come il successivo, Brian di Nazareth (non escludo che lo rivedrò a mesi per poterne parlare qui) ha una vera e propria trama: Re Artù (Graham Chapman) viene incaricato da Dio (disegnato da Terry Gilliam) di cercare il Sacro Graal. Inizia così l'esilarante ricerca della coppa, tra "cavalcate" nelle terre desolate alla ricerca di cavalieri (in realtà, avendo girato il film con un budget molto ridotto, i cavalli non ci sono, ma sono sostituiti dal rumore di due noci di cocco a imitare il suono degli zoccoli, semplicemente geniale), strani prìncipi dalla sessualità ambigua, harem di vergini adolescenti, incursioni nella contemporaneità (poliziotti in macchina vestiti da bobby).
L'unico rammarico che ho è aver visto questo film in italiano...pessimo doppiaggio ad opera dei comici del Bagaglino (ho sofferto, ammetto), per cui il film risulta del tutto alterato (non ho capito l'uso dei dialetti nella traduzione).
Ma l'ho adorato, come del resto tutti i film dei Monty Python, semplicemente geniali.

(sopra, da YouTube, la scena del coniglio sterminatore. Esilarante)

venerdì 1 gennaio 2010

L'uomo che non c'era, 2001, Joel e Ethan Coen


Il primo film che ho visto per iniziare l'anno e questo blog è L'uomo che non c'era dei fratelli Cohen. Non è stata una scelta meditata, quanto piuttosto frutto del caso. Finora ho adorato tutti i film dei Coen e questo mi mancava, non mi riesco a capacitare di come sia possibile che me lo sia lasciato indietro.
Oggi ho visto un noir! Sono rimasta per tutto il tempo del film stranamente in silenzio (chi mi conosce bene sa che commento il film dai titoli di testa ai titoli di coda), in contemplazione di Billy Bob Thorton e di Frances McDormand, che trovo semplicemente fantastica dai tempi in cui faceva la sbirra in Fargo.
Dunque, la storia è assurda: siamo a cavallo tra gli anni '40 e i '50, è da poco finita la guerra, il periodo è quello del boom economico che sta per germogliare.
Il film si apre con il racconto in prima persona del protagonista, il barbiere Ed Crane (B. B. Thorton).
E' in avanzato stato depressivo, fare il barbiere è poco stimolante, riesce a trovare un barlume di vitalità e ad accendere la fantasia solo nei momenti in cui ascolta la giovane pianista Birdy (Scarlett Johansson, poi non ditemi che sono acida ma fa sempre la parte della ragazzina provocante). Il rapporto con la moglie Doris (F.McDormand) è totalmente privo di qualsiasi emozione, lei ha una storia col suo capo "Big Dave" (James Gandolfini dei Soprano) di cui Ed è a conoscenza ma che lascia correre per il quieto vivere.
Completamente insoddisfatto dalla routine della sua vita, si lascia abbagliare dall'offerta di uno sconosciuto e alquanto losco imprenditore appena giunto in città, che lo imbarca per il lancio di una catena di tintorie con il modernissimo lavaggio a secco.
Come Ed si procura i soldi per quest'investimento e le conseguenze che ne scaturiscono non ve lo posso raccontare.
Posso solo dire che è un film che lascia a bocca aperta. Non solo per l'intreccio, per il susseguirsi degli avvenimenti, che mai ti aspetteresti, per cui non puoi fare altro che stupirti e lasciarti scappare un NOOOO!
Ma anche per l'eccezionale fotografia di Roger Deakins, che ha lavorato in tutti i film dei Coen (adoro le collaborazioni ripetute , squadra che vince non si cambia), e poi il bianco e nero, così cupo, così algido, come un vecchio noir dell'epoca.
Insomma, io fossi in voi me lo guarderei.

Può anche non essere di fondamentale importanza, ma questo film ha vinto il Premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2001, un BAFTA per la migliore fotografia e un David di Donatello 2002 per il milgior film straniero.